domenica 22 maggio 2011

Ci viene da piangere....

Scendendo in facoltà, quasi tutte le mattine, passo accanto a Librino. Da quando hanno aperto l'Asse attrezzato, ci passo proprio in mezzo, la taglio con gli occhi. Palazzi e palazzi e sulla destra, ad un tratto, due piccole ciminiere di mattoni rossi, che sono la testimonianza di dio sa ormai cosa.
Ogni mattina passo in mezzo a Librino tra palazzi e palazzi e le ciminiere e se ci penso mi viene quasi da piangere. Perché Librino fa venire da piangere. Librino che doveva essere un gioiello, Librino che doveva essere città satellite di 70.000 abitanti. Inserita nel Piano Piccinato del '69; con le strade grandi e le rotonde e palazzi arredati ed i parchi ed il verde ed i garage. Dovevano metterci le scuole e le università e gli uffici e decogenstionare il centro. Librino doveva essere un gioiello. Hanno chiamato un architetto giapponese per confezionarlo. Si chiamava Kenzo Tange. Un genio.  Hanno speso una montagna di soldi. Librino la città satellite, la città nuova. Una perla.
E invece da Librino io ci passo tutte le mattine e se ci penso mi viene da piangere. Ammasso di silenzio e cemento, groviglio dissennato di strade e strade e degrado. Palazzi abbandonati, occupati abusivamente. A librino si va a prendere il fumo, al dieci, al sessantanove, al palazzo di cemento. Cemento. Questo è librino. Cemento e cemento e rumore di un sogno che si rompe e va in mille pezzi. Librino è la tristezza di una Sicilia che non si solleva e striscia e si sporca e ingoia fango. Librino è una distesa piena di lacrime che la mattina lavano il cielo, prima che gli aerei inizino a decollare; tutte le lacrime di una terra venduta e stuprata, una terra che sanguina e sanguina sotto il sole. Una terra che marcisce bisbigliando perché non ha più la forza neanche di parlare. Doveva essere un gioiello Librino; Catania doveva essere un gioiello e doveva esserlo anche la Sicilia. E invece sono solo storie di cemento venduto e di progetti lasciati a metà e di indifferenza e di corruzione. Sono madri dallo sguardo cisposo ed assonnato che si alzano la mattina e stendono i calzini su un filo moscio e arrugginito e non sanno di camminare sopra un fiore mai sbocciato. Sono semi che non crescono perché i semi non crescono dove non c'è il sole e dove piove sabbia e dove il vento è sempre foriero di tempesta.
La Sicilia siamo noi che ogni mattina attraversiamo Librino con la macchina e ci viene da piangere. E allora tiriamo un pugno contro il cruscotto. E ci mettiamo ad urlare, proprio lì, sulla quella strada dove non ci può sentire nessuno.

5 commenti:

  1. Dep, ma cosa viene dopo il pianto e l'arrabbiatura? Ci piangiamo sempre tutti e giustamente addosso. Ma poi?

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  2. Il poi non è un problema dei singoli, ma un problema collettiva. Per esserci un poi ci deve essere prima una presa di coscienza "collettiva"...

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  3. leggendo l'intervento non ho potuto fare a meno di pensare alle tante risorse sprecate per le quali nel piccolo del nostro paese potremmo fare realmente qualcosa....la nostra immensa villa comunale...uno spreco. Ho personalmente partecipato con il gruppo scout alla ricostruzione della recinzione per ben due volte diversi anni fa e vederla com'e` ridotta adesso... davvero lontani i tempi del cinema all'aperto...mi piacerebbe sapere se e` mai stato serio proggetto del comune preservarla...

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  4. sarò poetica, forse utopista o, magari, solo una quasi assistente sociale, ma credo che sul cemento i fiori possano crescere. In fondo li ho pure visti, solo che sono lasciati lì, a bruciare al sole, ad appassire sotto la pioggia, ad essere strappati dal vento. Se ce ne prendessimo cura, quel cemento, forse, sarebbe ricoperto di prati.

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